Il tumore del pene origina nell’epitelio del prepuzio e del glande. È un tumore raro con un’incidenza di circa 1 caso su 100 000 uomini in Europa e U.S.A.
I maggiori fattori di rischio sono la fimosi (restringimento della pelle del prepuzio), una scarsa igiene genitale, il fumo, una storia sessuale di molti partner o di primo rapporto sessuale in età molto giovanile, trattamenti con raggi UVA, presenza di condilomi e condizioni di infiammazione cronica quali ad esempio balanopostiti, lichen sclerosus atrofico (balanite xerotica obliterante). E’ inoltre comprovato che l’HPV (human papilloma virus), soprattutto di tipo 16 e 18, sia responsabile della trasmissione di verruche genitali, condilomi acuminati e carcinomi squamocellulari; lo si riscontra nel 40-50% dei casi di tumore del pene ma sono necessari altri cofattori per passare da uno stadio di semplice infezione virale locale a presenza di tumore. La circoncisione in età prepubere è un fattore protettivo che riduce il rischio di tumore del pene di 3-5 volte.
In più del 95% dei casi il tumore del pene è un carcinoma a cellule squamose, spesso preceduto da lesioni premaligne; i melanomi maligni del pene e i carcinomi a cellule basali sono invece molto più rari. Le lesioni premaligne si suddividono a loro volta in quelle meno frequentemente associate al successivo sviluppo tumorale (verruca cutanea, balanite xerotica obliterante, lichen sclerosus ed atrofico) e in quelle ad esso più frequentemente associate (neoplasia penile intraepiteliale, eritroplasia di Queyrat, malattia di Bowen). La presentazione clinica del tumore del pene è variabile (lesione ulcerata, esofitica, papula), tipicamente non dolente, talora di aumentata consistenza, e con insorgenza, in ordine decrescente, su glande, prepuzio, solco coronale, asta. Le metastasi sono preferenzialmente linfonodali, quando a distanza colpiscono fegato, ossa, polmoni.
La diagnosi si basa innanzitutto su un accurato esame obiettivo dei genitali esterni, volto a verificare la presenza della lesione. E’ necessario quindi un prelievo bioptico per avere la certezza istologica della tipologia della stessa e poter proseguire col trattamento più adeguato. Una risonanza magnetica del pene in erezione, ottenuta tramite iniezione locale di prostaglandina E1, è utile per valutare l’eventuale invasione dei corpi cavernosi da parte del tumore. Altro aspetto fondamentale è la palpazione dei linfonodi inguinali, prima sede di eventuali metastasi. In assenza di anomalie palpatorie, un’ecografia può aiutare a riscontrare eventuali linfonodi anomali e può essere utilizzata anche come guida per una biopsia con ago aspirato. Qualora si riscontrino linfonodi inguinali ingrossati, l’esame TC, la risonanza magnetica e la PET-FDG sono esami utili per indagare la presenza di metastasi linfonodali pelviche e di eventuali metastasi a distanza. In pazienti metastatici e sintomatici, è indicata la scintigrafia ossea.
Il trattamento del tumore del pene primitivo è il più conservativo possibile tenuto conto delle dimensioni, della localizzazione e del rapporto coi tessuti circostanti. Fondamentale nel trattamento chirurgico è l’ottenimento di margini di resezione indenni da patologia, al fine di evitare recidive. Si spazia quindi da resezioni minime chirurgiche di malattia (effettuabili anche con tecniche alternative quali laserterapia, crioterapia) a resezioni sempre maggiori, quali glandulectomia, amputazione peniena parziale (se invasi i corpi cavernosi) e totale (se invasa l’uretra). Nel caso di malattia ulteriormente invasiva, la terapia prevede una chemioterapia neoadiuvante e, nei pazienti responsivi, un successivo intervento chirurgico. Nelle malattie avanzate e metastatiche, la terapia è la chemioterapia palliativa. La radioterapia è sia un’alternativa possibile per lesioni limitate (<4 cm) che un’ulteriore possibilità palliativa. La linfoadenectomia inguinale e/o pelvica, monolaterale o bilaterale, si effettua in caso di positività o sospetta positività dei corrispettivi linfonodi.
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