La Malattia di La Peyronie o Induratio Penis Plastica (IPP) si caratterizza per la formazione di una lesione fibrosa, cicatriziale ed anelastica denominata “placca” circoscritta a carico della tunica albuginea dei corpi cavernosi, cioè uno dei “rivestimenti” interni del pene .
L’IPP è tutt’altro che una patologia rara.
Si stima che possa colpire fino al 5% dei maschi nel corso della loro vita, prevalentemente nel periodo tra i 45 e i 60 anni. Tuttavia, poichè molti incurvamenti lievi sicuramente non giungono all’attenzione del medico, è ragionevole che la prevalenza di questa malattia sia maggiore.
La placca da IPP si accompagna nella maggior parte dei casi ad un incurvamento del pene, che nei casi più gravi può anche superare i 90°.
L’eziopatogenesi è a tutt’oggi misconosciuta; la teoria più accreditata vedrebbe l’IPP come un “processo infiammatorio aberrante” che riconoscerebbe come evento scatenante un trauma a livello penieno, tuttavia nella maggior parte dei casi non si rileva una storia di trauma penieno all’anamnesi , allo stesso tempo, non tutti i pazienti con traumatismi del pene sviluppano tale malattia; ciò sta a significare che altri fattori e/o meccanismi devono necessariamente intervenire nella patogenesi dell’IPP (familiarità, trasmissione genetica, infezioni, processi autoimmuni).
Vi sono poi alcune condizioni patologiche nelle quali l’IPP si riscontra con una maggior frequenza rispetto alla popolazione generale. Nella popolazione dei diabetici, ad esempio, l’IPP è presente in 1 paziente su 5.
In alcuni casi il sintomo principale all’esordio è proprio il dolore, cui si associa con una finestra temporale variabile (generalmente qualche mese) l’incurvamento del pene in erezione. Tuttavia, spesso i pazienti non riferiscono alcun dolore o disturbo e si presentano all’attenzione del medico a causa dell’incurvamento.
La storia naturale dell’IPP prevede una fase iniziale “infiammatoria (che può determinare dolore o fastidio)”, della durata variabile di 6-18 mesi, a cui segue la fase cosiddetta “stabilizzata (la placca)”. Il decorso è assolutamente imprevedibile e variabile nel tempo, potendosi osservare una stabilizzazione, una progressione o, raramente, una regressione spontanea (13% dei casi) della malattia.
Il trattamento della patologia può essere medico o chirurgico a seconda della fase della malattia e della gravità. Il concetto fondamentale da sottolineare è che si tratta di una patologia certamente curabile, ma non sempre guaribile, dal momento che talora non è possibile eliminare la placca completamente.
Schematicamente, se la penetrazione è ancora consentita, i goal della terapia saranno di rallentare l’evoluzione della malattia e di migliorare la performance sessuale; se la penetrazione non è più consentita, si tratta allora di favorire la ripresa dell’attività sessuale.
Nella fase iniziale infiammatoria è possibile mantenere un atteggiamento conservativo di tipo medico, i cui risultati sono però variabili e spesso contrastanti. In tale contesto, sono numerose le opzioni terapeutiche proposte (vitamina E, paraminobenzoato di potassio, colchicina, tamoxifene, carnitina, propoli, pentossifillina). Anche gli inibitori della PDE-5 vengono utilizzati come terapia medica dell’IPP, soprattutto per trattare il deficit erettile che può insorgere in fasi più o meno precoci della malattia (anche per ragioni psicologiche).
Quanto alle terapie intralesionali, anche in questo caso la letteratura scientifica non mostra accordi sull’efficacia dei farmaci utilizzati, non essendo disponibili molti trial clinici randomizzati e controllati. Tra di essi, verapamil, corticosteroidi, interferone e acido ialuronico sono quelli maggiormente utilizzati.
Va precisato come tutte queste terapie, che dovrebbero avere un effetto antiinfiammatorio riducendo il dolore e ostacolando i fenomeni fibrotici che portano alla formazione della placca, siano proposte fuori indicazione in quanto la loro efficacia nel trattamento dell’IPP non è mai stata pienamente riconosciuta.
Recentemente, è stato approvato l’utilizzo intralesionale delle Collagenasi di Clostridium Histolyticum. Si tratta di una collagenasi, cioè di un enzima in grado di digerire il tessuto fibroso quando iniettato direttamente nella placca. Tale meccanismo d’azione, associato a procedura di trazioni peniene porterebbe ad un “ammorbidimento” della placca con una riduzione dell’incurvamento. Il trattamento con collagenasi, che è l’unico farmaco approvato ufficialmente per il trattamento non chirurgico dell’IPP stabilizzata, può determinare un effetto favorevole sulla placca e sull’incurvamento riducendo il ricorso ad un intervento chirurgico.
In alternativa alla terapia medica, le terapie fisiche rappresentano semplici metodiche non invasive nel trattamento dei sintomi dell’IPP.
In questo gruppo, quelli maggiormente utilizzati già in passato sono la ionoforesi, la radioterapia e le onde d’urto. Altre opzioni, di più recente proposta, sono rappresentate dalle trazioni peniene, mediante estensori o vacuum device, spesso usati in combinazione con altri trattamenti.
Il ricorso alla terapia chirurgica è indicato quando la disfunzione erettile e/o l’ incurvamento penieno siano tali da precludere l’attività sessuale coitale.
Le tecniche chirurgiche possono essere divise in queste categorie:
La terapia chirurgica, per quanto risolutiva, è spesso gravata da complicanze di cui il paziente deve essere sempre ben informato. A seconda della tecnica utilizzata, possono insorgere l’accorciamento del pene, la perdita di sensibilità del glande (generalmente transitoria), perdita parziale della capacità erettile e incurvamento residuo per retrazione cicatriziale del patch (specialmente per chirurgia di placca senza protesi) e l’infezione della protesi.
CONCLUSIONI
Dalla disamina delle varie opzioni terapeutiche risulta evidente come le strategie di tipo medico, pur presentando il vantaggio della bassa incidenza di effetti collaterali e complicanze, risultano poco efficaci; viceversa le terapie chirurgiche risultano più efficaci, ma non scevre da complicanze.
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